La sfida del federalismo fiscale

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Gianni Pittella

Quella sul federalismo fiscale è una riforma ineludibile perchè possa essere costituito un assetto stabile sul piano finanziario e istituzionale di Regioni, Province e Comuni. Una riforma necessaria per definire un quadro per l’esercizio concreto dell’autonomia tributaria, prevedendo che le regioni possano, nelle materie non assoggettate ad imposizione da parte dello Stato, istituire tributi regionali e locali e determinare le materie e gli ambiti nei quali può esercitarsi l’autonomia tributaria degli enti locali. Inoltre l’attuazione del Titolo V è una priorità se si vuole superare il disordine della finanza pubblica determinato dalla riforma fiscale dei primi anni ’70 che sopprimeva ogni autonomia dei poteri locali nella provvista di risorse, proprio nella fase di decollo delle Regioni ordinarie e di potenziamento delle competenze dei Comuni e delle Province. Il problema si è accentuato poi a partire dagli anni ’90 con il trasferimento alla competenza regionale e locale di ulteriori funzioni e con la sentenza della Corte Costituzionale che, con il lodevole intento di evitare un sistema fiscale arlecchino, ha stabilito l’immediata operatività dell’autonomia regionale in materia di spesa ma ha rinviato l‘esercizio della potestà fiscale alla emanazione della legge statale di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Tra l’altro non mi pare opzione politica praticabile quella del ripristino di un improbabile centralismo. Guardiamo alla realtà! La mancata attuazione del federalismo non ha evitato in questo quinquennio alle regioni del Mezzogiorno un drammatico peggioramento della loro condizione relativa rispetto al Centro Nord. Penso, inoltre, che, con il moltiplicarsi, ed il complicarsi, delle decisioni pubbliche che coinvolgono la vita di ognuno di noi, spostare il livello decisionale al livello più vicino ai cittadini sia il modo per rendere più concrete le possibilità di sanzione per gli amministratori pubblici responsabili di scelte errate.

Ovviamente è d’obbligo fare una netta distinzione tra un certo progetto di federalismo fiscale e quello invece proposto dal disegno di legge della regione Lombardia che va in una direzione sbagliata, lontana dalla Costituzione in molti punti. Sorvola su un punto cruciale dell’articolo 119 della Costituzione che dice: “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”. Di queste risorse aggiuntive e degli interventi speciali volti in gran parte a ridurre il dualismo economico Nord /Sud c’è solo una pallida traccia.
Inoltre la Regione Lombardia propone, col suo disegno di legge, di passare al sistema opposto a quello vigente[1]. Dalla perequazione verticale si intende passare alla perequazione orizzontale, attraverso la formazione di un fondo perequativo, alimentato dalle Regioni con maggiore capacità fiscale per abitante con quote del gettito dei tributi propri e dei tributi finora versati dai loro concittadini allo Stato, tributi i quali rimarrebbero così prevalentemente nei territori in cui risiedono. Il federalismo fiscale, immaginato dalla Regione Lombardia, sarebbe una camicia strettissima per le popolazioni meridionali. Gli amministratori locali del Mezzogiorno sarebbero ridotti alla condizione di sorvegliati speciali. Sarebbero soprattutto costretti a torchiare i cittadini con maggiori tributi o a ridurre drasticamente i servizi.

Sarebbe molto più utile e logico che il fondo di perequazione venisse gestito dal Ministero dell’Economia, con opportuni meccanismi di salvaguardia sulla destinazione delle risorse trasferite, senza alcuna pretesa di controllo, di sorveglianza e di sanzione esercitate da parte dei cosiddetti donatori di sangue, vale a dire delle Regioni a maggiore capacità fiscale. Inoltre è fondamentale approvare una riforma che miri a garantire livelli di soddisfazione adeguata e non minima ( come invece indicato nella proposta lombarda), dei bisogni collettivi in tutto il territorio. Il fondo perequativo dovrebbe ridurre sensibilmente la differenza di capacità fiscale per abitante per non strangolare le amministrazioni locali ed i cittadini economicamente piú deboli. A loro volta Regioni ed Enti locali del Sud accetterebbero di svolgere un ruolo piú attivo di contrasto all’evasione fiscale.

Infine è necessario introdurre criteri di disciplina, di responsabilità, di efficienza nella gestione delle risorse pubbliche da parte delle Regioni e degli altri Enti locali. Questi criteri sono raramente seguiti dagli amministratori locali, i quali gestiscono la cosa pubblica troppo spesso con scarso senso di responsabilità, naturalmente con le dovute eccezioni di amministratori virtuosi.
Andrebbero poi affrontati anche altri problemi. Come sciogliere ad esempio il nodo Regioni-enti locali? Le Regioni chiedono di essere le uniche destinatarie dei trasferimenti perequativi dello Stato ed esse poi ridistribuiranno ai propri enti locali. Ma questi ultimi non vogliono avere intermediari con lo Stato. Sul piano giuridico sembra esserci spazio per tutte le tesi. Al di là degli argomenti giuridici, sta la diffusa diffidenza delle province e dei comuni nei confronti delle Regioni: il fondo unico regionale “potrebbe” dare risultati migliori (minori costi di gestione e più consapevole redistribuzione locale), ma potrebbe anche invogliare la Regione a tenersi una fetta eccessiva e a distinguere troppo tra enti locali amici e nemici. Il paradosso della devoluzione italiana sta insomma nella permanenza di un municipalismo che in varie parti del paese teme la Regione più di quanto non tema lo Stato. Occorre insomma uno “scatto” che è finora mancato nelle classi dirigenti e nell’opinione pubblica del Mezzogiorno: l’accettazione consapevole di una svolta in senso federalista come banco di prova della capacità di autogoverno delle popolazioni meridionali, delle capacità di sviluppo auto-propulsivo di questa parte del Paese. È su questo terreno che si devono misurare forze culturali, sociali e politiche del Mezzogiorno dando vigore e concretezza di contenuti ad una visione di federalismo cooperativo, solidale ed unitario che assuma come obiettivo l’equilibrio tra Nord e Sud, la valorizzazione piena ed equa delle risorse e delle potenzialità complessive del Paese.