Quello Zelig di Mirabello che scalda i cuori del centrosinistra

0
581

EditorialeFrancesco Lener

Piace a molti di quelli che si riconoscono nel centrosinistra perché ha sparigliato le carte in una fase politica in cui il berlusconismo sembrava essere diventato una condanna a vita, piace perché parla delle istituzioni e della costituzione con rispetto e doverosa deferenza, piace perché non lancia anatemi razzisti, non fa battutacce inopportune, non evoca pericolosamente antiche nostalgie. A prima vista il Fini di Mirabello è l’avversario dei sogni, quello che all’occorrenza, se butta male, può anche diventare alleato.
Basta solo non pensare troppo e non sforzarsi di ricordare. Mica dei tempi di Giorgio Almirante e der Pecora, per carità. Non ricordare, ad esempio, che quel Fini che dal palco dice solennemente “Ho contestato a Berlusconi la sua attitudine a confondere la leadership con quello che è l’atteggiamento di un proprietario di azienda”, cioè una banalità che chiunque di buon senso sa bene da sempre, è lo stesso Fini che per 15 lunghi anni gli ha fatto da vassallo e luogo tenente, quello che dopo aver forzatamente tenuto aggrappato un manipolo di più o meno nerboruti avanzi di sezione del Msi a un “proprietario d’azienda” con manie di grandezza e a un ruspante indipendentista lombardo adesso se la prende con i vari Gasparri e La Russa per la loro pretesa incoerenza (“qualche colonnello o capitano di An che ha soltanto cambiato generale e magari è già pronto a cambiarlo ancora”).
È vero il contrario: il Fini di Mirabello è il trionfo dell’incoerenza, quando non dell’opportunismo. Altro che Gasparri e La Russa. Fini evoca oggi con sarcasmo il predellino, ma sembra voler far dimenticare a tutti che nei giorni del predellino lui era impegnato, insieme a Casini, ad alimentare la polemica con Berlusconi e a mettere in naftalina i progetti comuni, salvo salire su quello stesso predellino poche settimane dopo, lasciando a piedi il povero Casini. Ma nelle acrobazie politiche di Fini c’è anche una sorta di irresistibile attrazione per il (fu) Bottegone. Inutile cercare un parallelo tra Mirabello e Fiuggi: Fini con Fiuggi ha cercato di andare dietro alla Bolognina di Occhetto, facendo persino le stesse scelte grafiche (la fiamma del Msi alla base del simbolo di An come la falce e martello del Pci alla base della quercia originaria del Pds), con la scelta del Pdl ha seguito la corrente del momento emulando la spinta aggregativa del Pd e dopo il crollo del sogno veltroniano della “vocazione maggioritaria” del Partito Democratico ha dichiarato morto il Popolo della Libertà. Una dissociazione degna di un lettino di analista, più che di uno straccio di strategia politica.