Come si misura la laicità?

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Inchiesta: la situazione italiana istituto per istituto e il confronto con gli altri Stati europei ed extraeuropei.Edoardo Semmola

Come si misura la laicità?L’Italia è un paese a laicità limitata. È un fatto: la Chiesa cattolica detiene un potere temporale ancora vivo e combattivo. Basta vedere la lunga lista dei suoi privilegi: Concordato, 8 per mille, vantaggi fiscali di ogni sorta, presenza dello Stato Città del Vaticano sul suolo della capitale, nessun vincolo di controllo statale sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, continua e pressante ingerenza ed invadenza delle gerarchie chiesastiche nella vita pubblica nazionale. Tutti elementi, ai quali molti altri ancora andrebbero aggiunti, che – senza rischio di smentita – fanno del nostro Paese una democrazia imperfetta. Imperfetta e non compiutamente libera perché non tutti i cittadini sono uguali agli altri. Infatti gli italiani cattolici sono più uguali e soprattutto più tutelati degli altri italiani: i protestanti quasi ignorati, anche per via dello scarso numero; i musulmani “combattuti”, ma pur sempre tenuti in alta considerazio ne almeno a livello mediatico (nel bene e nel male); e infine i non credenti, gli atei, gli agnostici, vere vittime – se ci passate il termine forte – di questa versione moderna e subdola di teocrazia, seppur occidentale e costituzionale.

È sempre stato così e così è ancora. Ma per fortuna sempre meno, perché sempre meno sono gli italiani che accettano passivamente questa disuguaglianza, e sempre di più sono coloro che si muovono in senso contrario, sulla strada della laicità, abbandonando le vie del controllo e del potere clericale. Vediamo perché con l’aiuto di Raffaele Carcano e dell’associazione Uaar, Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (www.uaar.it) che ci hanno fornito questi dati.

MATRIMONI E CONVIVENZE

Le coppie di fatto eterosessuali italiane sono ad oggi, secondo fonte Istat, circa 564mila. Si tratta di un aumento notevole, se si pensa che nel corso degli ultimi 10 anni sono addirittura triplicate. Si calcolano infatti circa 3 milioni di coppie che hanno convissuto almeno una volta dal 1990 ad oggi. A dicembre 2000 l’Istat ha rilevato che 893mila matrimoni, ovvero il 4.6% del totale, erano preceduti da convivenze, ma il dato va contestualizzato: solo il 2.5% delle persone sposate prima del 1988 ha fatto questa esperienza, contro il 12.8 di quelle convolate a nozze negli ultimissimi anni. Ma l’Italia, si sa, è lenta nel cambiamento, soprattutto se cambiamento significa contraddire alle norme imposte “dall’alto”. Infatti solo il 6% delle coppie italiane dai 16 ai 30 anni sono coppie di fatto, contro il 40% in Inghilterra, il 45% in Germania e il 46% in Francia. Anche il settimanale papale Famiglia Cristiana ha dovuto fare i conti con questa realtà: proprio un suo sondaggio del 1998 ha rilevato che il 72.2% degli italiani pensa che le unioni di fatto debbano godere degli stessi diritti delle coppie sposate.
Nel 2003, sempre secondo l’Istat, il 28.5% dei matrimoni si è realizzato con rito civile, in comune, anziché con rito religioso. Nel corso degli ultimi tre decenni l’utilizzo del rito civile ha avuto un impressionante aumento: nel 1936 i matrimoni civili erano solo l’1.4% del totale, nel 1966 erano ancora fermi all’1.2, nel 1986 già salivano al 14.2, e nel 2001 sono arrivati al 26.8%. Tra le regioni il Friuli Venezia Giulia capeggia l’elenco di quelle più laiche: il 47.3% dei matrimoni è celebrato con rito civile. Seguono il Trentino Alto Adige (45.2%) e la Valle d’Aosta (39.8%). La regione dove se ne celebrano meno è invece la Basilicata (8.6%), seguita da Calabria (11.1%) e Puglia (12%). Per quanto riguarda le città: nel 2001 a Milano i matrimoni civili sono stati 2838 (51%), superando addirittura quelli religiosi che sono stati solo 2691 (49%), tendenza che continua anche nel 2002 (dati recuperati dal Corriere della Sera del 6 giugno 2002). Stessa situazione a Bologna. Ma è Bolzano che detiene il record con la percentuale del 54,4%. Dunque, considerando anche le coppie che convivono senza essere sposate, le coppie “non autorizzate” dalla Chiesa cattolica, se la tendenza prosegue, diventeranno quindi a breve la maggioranza.
Il matrimonio è, peraltro, un istituto in decadenza in tutta Europa. Secondo dati Eurostat, le persone di età compresa fra i 25 e i 49 anni a non essersi mai sposate sono il 49% in Svezia, il 36% in Francia, e il 31% in Italia e nel Regno Unito.

DIVORZI

Sul fronte dei divorzi la situazione migliora. Sempre fonte Istat: nel 2001 i divorzi sono cresciuti del 6.5% rispetto al 2000, per un totale di 40.051. Ci si divide di più nel nord, dove ci sono 3.4 divorzi ogni mille coppie sposate (con il vertice in Val d’Aosta: 5.9), mentre al sud il rapporto scende a 1.4 (con il minimo in Basilicata: 0.8). Ironia della sorte made in Usa: un sondaggio a stelle e strisce del 1999 sul rapporto tra religiosità e divorzio ha evidenziato dati sorprendenti: i soggetti maggiormente a rischio sono i fondamentalisti cristiani (il 34% di essi ha un divorzio alle spalle), seguiti da ebrei, battisti, protestanti, mormoni, cattolici, luterani. Gli atei e gli agnostici arrivano per ultimi con il 21% di casi.

INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE A SCUOLA

Secondo il Ministero dell’istruzione la frequenza dell’Irc, su base nazionale, si attesterebbe al 95.9% nella scuola dell’infanzia e in quella elementare, al 94.3 nella media e all’87.4 alle superiori. Fonti Cei del 2004 parlano di una media nazionale del 93%, che per le superiori scende all’87%: le regioni centro-settentrionali sono sicuramente le più laiche e primeggia la Toscana. Nelle metropoli come Milano il dato delle scuole superiori crolla al 49% (addirittura una minoranza quindi) con 183 classi completamente prive di Irc, in quanto tutti gli studenti non se ne sono avvalsi. Il fatto stesso che, ovunque, la partecipazione crolli alle superiori (quando dunque lo studente decide da solo se frequentare o meno) dimostra quanto conti, nell’effettuare la scelta, il condizionamento familiare.

L’AFFAIRE BATTESIMO

È impossibile tenere il conto di quante persone hanno deciso di “sbattezzarsi” da quando esiste questo istituto. Da quando cioè, in forza della legge sulla privacy, è possibile chiedere alla propria parrocchia di essere cancellati dal registro dei battezzati: un “dato sensibile” e personale sul quale il soggetto – e non più la burocrazia cattolica – ha il pieno controllo. Però una stima è comunque possibile elaborarla, basandosi sul fatto che dal primo gennaio 2005 ad oggi la pagina dei moduli per lo sbattezzo del sito www.uaar.it è stata visitata da 8772 personeMa guardiamo le cose in prospettiva storica. Dati Istat e dell’Annuario pontificio rivelano che nel 1983 in Italia sono stati battezzati 591678 bambini, ovvero il 96.53% dei nati. Venti anni dopo la percentuale è caduta all’83.96%. Il dato è in continua discesa, il che significa che sempre meno famiglie decidono di sottoporre i propri nati al rito dell’acqua sulla fronte.

FUNERALI CIVILI: CREMAZIONI

La seguente tabella illustra il diffondersi nel nostro Paese della pratica della cremazione a scapito del “cattolico” seppellimento dopo relativo rito funebre religioso.

anno cremazioni indice % su dec. decessi x 1000 ab. milioni mortalità per mille n° impianti
1988 3.650 100 0,7 537,55 57,50 9,3 n.d.
1989 4.350 119 0,8 531,56 57,58 9,2 n.d.
1990 5.200 142 1,0 544,40 57,75 9,4 n.d.
1991 6.280 172 1,1 547,13 56,76 9,6 n.d.
1992 7.471 205 1,4 545,04 56,96 9,6 n.d.
1993 8.800 241 1,6 555,04 57,14 9,7 n.d.
1994 10.561 289 1,9 557,51 57,27 9,7 33
1995 14.602 400 2,6 552,20 57,33 9,6 33
1996 16.500 452 3,0 557,76 57,46 9,7 33
1997 20.681 567 3,7 564,68 57,56 9,8 33
1998 23.613 647 4,1 576,91 57,61 10,0 37
1999 27.200 745 4,8 571,36 57,68 9,9 37
2000 29.559 810 5,3 560,24 57,84 9,7 37
2001 34.758 952 6,3 548,25 57,00 9,6 38
2002 38.691 1.060 6,9 557,39 57,84 9,6 39
2003 42.909 1.176 7,3 586,47 57,89 10,1 41
2004 43.858 1.202 8,0 546,66 58,46 9,4 43

Il dpr 285/90 delega ai Comuni la stesura di un Regolamento comunale di polizia mortuaria, volto a disciplinare la materia sul proprio territorio. Molti comuni, oltre a non istituire la sala per le onoranze, non contemplano nemmeno la possibilità di ricordare il defunto nel caso la funzione non preveda il rito religioso. Ecco alcuni esempi, recuperati con una ricerca sul web: risulta evidente come il testo sia molto spesso simile, probabilmente basato su un prestampato diffuso preventivamente.

MONTALE (PT)
I cortei funebri seguiranno, normalmente, la via più breve dall’abitazione del defunto alla chiesa e da questa al cimitero, oppure dall’abitazione al cimitero nel caso non vengano eseguite funzioni religiose. I cortei non dovranno far soste lungo la strada ed avranno la precedenza sulla circolazione dei pedoni e dei veicoli.

DESENZANO (BS)
I cortei funebri debbono, di regola, seguire la via più breve dall’abitazione del defunto alla chiesa e da questa al cimitero, in mancanza di cerimonie religiose i cortei funebri non debbono fare soste lungo la strada né possono essere interrotti da persone, veicoli o altro.

PORPETTO (UD)
I cortei funebri debbono, di regola, seguire la via più breve dall’abitazione del defunto alla chiesa e dal questa al cimitero, oppure dall’abitazione al cimitero se non vengono eseguite funzioni religiose.

PIANORO (BO)
I trasporti funebri debbono, di regola, seguire la via più breve dall’abitazione del defunto alla chiesa e da questa al cimitero, oppure dall’abitazione al cimitero; […] I cortei funebri possono essere seguiti dall’abitazione del defunto alla Chiesa, oppure, qualora non vengano eseguite funzioni religiose, al Cimitero, per un percorso non superiore a mt. 300. È comunque sempre vietato qualsiasi corteo di persone appiedate che dovesse interessare strade statali. I suddetti cortei non possono far soste lungo il percorso, nè possono essere interrotti da persone, veicoli od altro.

BRIGNANO GERA D’ADDA (BG)
I cortei funebri debbono, di regola, seguire la via più breve dall’abitazione del defunto alla chiesa e da questa al cimitero, oppure dall’abitazione al cimitero se non vengono eseguite funzioni religiose. I cortei funebri non debbono far soste lungo la strada nè possono essere interrotti da persone, veicoli od altro.
COMUNI INNOVATORI
Non tutte le Amministrazioni Comunali sono però così poco reattive alle istanze dei non credenti (e dei fedeli delle religioni di minoranza). Ci sembra giusto, in questa sede, segnalare quelle che si distinguono per la propria sensibilità sull’argomento.

Il Regolamento di Polirone (MN), ad esempio, prevede: “Il trasporto […] comprende: il prelievo della salma dal luogo del decesso, dal deposito di osservazione o dall’obitorio, il tragitto alla chiesa o al luogo dove si svolgono le esequie, la relativa sosta per il tempo necessario ad officiare i riti funebri, il proseguimento fino al cimitero o ad altra destinazione richiesta seguendo il percorso più breve“.

Il caso di Venezia è stato pubblicamente segnalato in un articolo apparso su La Repubblica il 18 dicembre 2000, dal titolo quanto mai eloquente: “Ma i laici muoiono in seconda classe“. Nel testo Mario Pirani raccontava di una lettera inviata da alcune personalità cittadine all’Amministrazione, sollecitante l’attuazione del dpr 15/97 nonché una sede per le esequie laiche che “deve avere la stessa dignità di un luogo di culto e non certo venir relegata in una qualche anticamera di sala mortuaria ospedaliera“. Nel marzo 2001 il Comune ha poi individuato il luogo nella chiesa di Santa Maria del Pianto, chiusa al culto e abbandonata da decenni.

Pesaro, aprile 2001: il Comune appronta nuove camere mortuarie. La locale Arcidiocesi protesta perché “…uno Stato “laico”, moderno e democratico, non solo non dimentica le origini culturali e religiose della società, ma le riconosce pubblicamente. Pertanto, pur apprezzando l’intenzione di predisporre dei luoghi per i defunti di altre confessioni religiose, si chiede un luogo con il crocifisso per poter accogliere e onorare le salme dei defunti della Comunità cristiana“. Degna di nota la risposta del Sindaco: “non è forse un dovere da parte di un’amministrazione democratica dare voce anche a chi non ce l’ha? E francamente l’idea che chi viene qui da noi deve accettare e sottostare alle nostre tradizioni e ai nostri segni, mi fa più pensare a gesti di sottomissione che mi fanno rabbrividire, che all’idea del diritto di cittadinanza che dobbiamo garantire… E come non prestare ascolto a quei concittadini che reclamano un luogo dignitoso anche per i funerali celebrati in forma civile, che non sono solo quelli di personaggi illustri attorno ai quali ci si raccoglie in luoghi emblematici della loro vita ma cittadini comuni cui deve andare tutto il rispetto possibile…“.

Rivoli (TO), ottobre 2001: l’assessore Gianna De Masi scrive pubblicamente al suo sindaco. “Oggi manca un posto dove potersi raccogliere intorno al feretro e ricordare la persona cara scomparsa. Si va direttamente al cimitero, senza la possibilità, per amici e parenti, di avere un momento da vivere in comune”. “L’idea mi piace, è un segno della laicità dello Stato” – conferma il sindaco – “dobbiamo cercare un luogo che accolga almeno cinquanta persone. Però, lo confesso, in questo momento la sede non c’è ancora“.

Sale del Commiato, dove poter effettuare funerali civili (potendo diffondere musica o ricordare il defunto) sono inoltre disponibili a Bologna (cimitero monumentale della Certosa), Ferrara, Milano (cimitero di Bruzzano), Roma (Tempietto egizio al cimitero del Verano), Torino (dove sin dal 1888 esiste la Sala Storica del Tempio Crematorio), e Firenze.