Previdenza complementare, arrivederci al 2008

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Marcello Messori

Almeno riguardo alla previdenza complementare, il governo Berlusconi non finisce mai di sorprendere. Giovedì 24 novembre ha infatti sovvertito il motto “tertium non datur“, spiazzando sia chi aveva scommesso sull’ennesimo rinvio e sul conseguente insabbiamento del decreto attuativo relativo alla “disciplina delle forme pensionistiche complementari”, sia chi aveva puntato sulla sua approvazione nella versione suggerita dalle Commissioni parlamentari alla fine dello scorso settembre e già bocciata dal Consiglio dei ministri ai primi di ottobre. Il punto di equilibrio fra la posizione del ministro Maroni, fermo nel difendere il suo pessimo schema di attuazione della legge delega e quella (opposta) della presidenza del Consiglio, volta a nascondere il conflitto di interesse del primo ministro-azionista dietro il fragile schermo di una distorta concorrenza fra i Pip e i fondi pensione, consiste nel posporre il varo dei nuovi assetti previdenziali al gennaio del 2008.
Formalmente, il ministro Maroni ha così ottenuto l’agognato lasciapassare del Consiglio dei ministri: a quanto è dato sapere, il testo è stato approvato senza sostanziali modifiche, fatte salve la data di attuazione del decreto legislativo e l’ampliamento della tipologia di imprese temporaneamente escluse perché non coperte dal “fondo di garanzia”.
Nella sostanza, Berlusconi si è assicurato però la possibilità di stimolare, fin da subito, le adesioni individuali e di ridisegnare le norme sgradite in caso di vittoria elettorale ma, al limite, anche prima delle elezioni. Questa interpretazione non è capziosa; prova ne sono due elementi: la mancanza di ogni altra plausibile ragione di rinvio; e, soprattutto, il varo immediato (ossia, le entrate in vigore il giorno successivo alla pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale) dei nuovi compiti della Covip e dello stanziamento dei fondi per la campagna pubblicitaria.
Riguardo al primo elemento, nonostante la voluta coincidenza temporale, non vi è infatti alcun legame con la revisione dei requisiti per l’accesso alla pensione pubblica: in quel caso, al di là di ogni giudizio di merito, la dilazione al 2008 trova una possibile giustificazione nell’impossibilità di creare, senza preavviso, uno scalino normativo tanto ripido. È inoltre davvero difficile pensare che siano necessari due anni di attesa per informare i potenziali aderenti rispetto alle nuove regole e per consentire i necessari adattamenti ai diversi offerenti. Riguardo al secondo elemento, i nuovi compiti della Covip prevedono l’emanazione delle istruzioni necessarie a ricondurre i Pip e le altre forme pensionistiche complementari “nell’ambito di applicazione” del decreto attuativo. Pertanto, mentre il meccanismo della “adesione tacita” dovrà attendere due anni per diventare operativo, le adesioni individuali otterranno un forte stimolo dalla rapida emanazione dei regolamenti della Covip; e una campagna pubblicitaria finanziata dalla fiscalità generale, potrà completare la distorsione. Le vittime del “patto scellerato” fra il presidente del Consiglio e il ministro del Lavoro diventeranno così, inutile sottolinearlo, i lavoratori giovani perché maggiormente coinvolti nelle passate riforme del pilastro previdenziale pubblico e perché condannati a decidere, per altri due o tre anni, in un quadro di incertezza o di informazione parziale.

UN VUOTO LEGISLATIVO
Le diverse versioni dello schema di decreto attuativo presentavano problemi così gravi da costituire un ostacolo anziché uno stimolo per lo sviluppo della previdenza complementare italiana; e che, quindi, sarebbe stato meglio “fermare tutto”. Alla luce delle considerazioni fatte, il posponimento al 2008 non equivale, però, al ripristino dello statu quo ante. Sotto il profilo giuridico lo stato di sospensione delle parti principali del decreto per un biennio e l’anticipazione dei regolamenti Covip, rischiano di creare temporanei, ma rilevanti, vuoti rispetto alle norme sino a oggi vigenti, aumentando così le aree di indeterminatezza e imponendo pesanti vincoli alla futura definizione di più equilibrati assetti legislativi.
Sotto il profilo economico, questi due fattori rappresentano un potente disincentivo all’adesione spontanea dei lavoratori – specie se giovani. Tale situazione offre terreno di caccia ideale agli operatori più aggressivi e spregiudicati, come hanno finora mostrato di essere i canali distributivi dei prodotti previdenziali assicurativi.
Ciò sarebbe, a maggior ragione, vero qualora il governo trovasse anche il modo di anticipare, rispetto alla data del 2008, gli incentivi fiscali sulle contribuzioni dei lavoratori autonomi. In linea di principio, non mi iscrivo al partito di quanti auspicano di modificare l’insieme delle nuove leggi a ogni cambio di maggioranza governativa. Mi sembra però che, nel caso della previdenza, vi siano tutte le condizioni perché un tale cambio corregga le gravi distorsioni introdotte e sfoci in una proposta organica a tutela di tutte le tipologie di lavoratori più giovani.