“La mia battaglia di civiltà”

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sto001a Un marchio, semplicemente un marchio. Come facevano i cow-boy sulle cosce delle vacche per indicarne la proprietà. Come una bibita, o un detersivo. All’unico scopo di manifestare pubblicamente “questa cosa è mia, non di altri, e c’è il mio marchio a darne prova”.

Cos’altro è, il crocifisso, se non un un marchio. Soprattutto quando questo è appeso ai muri di edifici non confessionali – come chiese e conventi – ma pubblici: scuole, tribunali, seggi elettorali, istituzioni dello Stato e degli Enti locali. La presenza del crocifisso in questi luoghi rappresenta la volontà da parte della Chiesa di sostenere che “sono cose loro”. Sono cose loro lo Stato, la giustizia, l’istruzione. Tutte cose loro, non degli italiani. Infatti su molti muri campeggia il Cristo in croce e non, che so, la fotografia del Presidente della Repubblica, che degli italiani rappresenta l’unità.

Molto si è detto e si è scritto sulla legittimità costituzionale di questo simbolo confessionale nei luoghi “di tutti”. Legittimità in quanto coerenza con il principio di laicità della Costituzione e quindi dello Stato italiano (principio, quello della laicità, che non è messo in discussione neanche dalla stessa Chiesa). Molto si è detto sì, ma poco si è fatto. Fino ad ora. Fino al caso di Luigi Tosti, giudice presso il tribunale di Camerino, nelle Marche, condannato in primo grado per omissioni di atti d’ufficio dal Tribunale dell’Aquila a sette mesi di reclusione ed interdetto dagli uffici pubblici per un anno per essersi rifiutato di celebrare udienze a causa della presenza del crocifisso nelle aule di giustizia.

E’ dal 9 maggio 2005 che il giudice Luigi Tosti si rifiuta di tenere le udienze: e questo perché il Ministero di Giustizia omette di rimuovere i simboli religiosi dalle aule. Ora, a distanza di quasi cinque mesi, il magistrato ha inoltrato una lettera al Ministro Castelli e alla Corte dei Conti con la quale, dopo aver affermato che “i Cittadini italiani hanno il diritto, nella loro qualità di contribuenti, di non veder sperperato il proprio danaro”, ha poi invitato “l’Amministrazione della Giustizia ad essere coerente con sé stessa, e cioè o a rimuoverlo dalla Magistratura (visto che l’Amministrazione ritiene di essere nel giusto) o a sospendere il pagamento degli stipendi”. “Ritengo immorale la percezione degli stipendi – ha concluso il magistrato – sicché invito l’Amministrazione a sospenderne l’erogazione, quantomeno sino alla definizione del contenzioso perché, in caso contrario, sarò costretto a restituirli”. Con altra lettera, spedita lo stesso giorno, Luigi Tosti ha invitato il Presidente della Repubblica ad inviargli cinque copie del suo ritratto, da esporre nelle aule: “paradossalmente – ha spiegato il magistrato – nelle aule giudiziarie italiane è presente il crocifisso, cioè un simbolo partigiano che identifica solo i cattolici, mentre sono assenti i simboli che identificano l’unità nazionale”. “E’ mia intenzione – preannuncia il magistrato – chiedere al Ministro di Giustizia, al Presidente della Repubblica ed al Sommo Pontefice l’autorizzazione a sostituire i crocifissi con i ritratti del Presidente della Repubblica, per fornire agli Italiani il riscontro oggettivo di quanto sia realmente “laica”, indipendente e rispettosa dei diritti di eguaglianza la Repubblica Italiana. La discriminazione religiosa e razziale nasce quando un gruppo pretende di essere superiore agli altri e di meritare, per ciò stesso, dei privilegi. In epoche recenti l’uomo bianco di superiore razza ariana ha preteso di privilegiare la sua supposta superiorità impedendo ai neri ed agli ebrei di entrare nei locali pubblici. Oggi in Italia la situazione non è affatto diversa: i cattolici marcano le pareti pubbliche col loro crocifisso e impediscono ai simboli di tutte le altre confessioni religiose e dei non credenti di entrare negli uffici pubblici, e questo perché ritengono, con una presunzione che trasmoda nel razzismo, di essere i soli depositari della Verità”.

Si aspettava una condanna a sette mesi? Cosa dobbiamo attenderci dopo un precedente giudiziario di questo tipo?

No, non pensavo ad una condanna, anche perché il Tribunale aveva già calpestato i miei diritti di difesa ed aveva eluso totalmente le problematiche relative al mio rifiuto di farmi processare da un tribunale “confessionale”, che cioè giudicava all’ombra del crocifisso, sicché pensavo che volessero chiudere questo spinoso processo con un’assoluzione. Il quadro che è invece emerso è quello di un Tribunale che è partito dal preconcetto che la questione del “crocifisso” è una banalità che, pertanto, non impedisce di “lavorare” al giudice. D’altra parte il Presidente del Collegio, cioè il dott. Tatozzi, è lo stesso giudice che aveva presieduto i collegi civili che avevano respinto i reclami relativi ai crocifissi nei seggi elettorali, motivando queste decisioni col fatto che “la laicità nei seggi elettorali è garantita dal fatto che non esiste alcuna norma che li autorizzi” (quindi, la pubblica amministrazione, visto che non c’è nessuna norma, li può esporre impunemente!!!) e, per altro, verso, che il crocifisso, per i non credenti e per i credenti in altre religioni, è un simbolo “passivo”, cioè non morde, non coarta la volontà, non condiziona, e via dicendo. Come si concilino queste motivazioni con la sentenza della Cassazione 1.3.2000 n. 4273 è un mistero al quale, spero, il dott. Tatozzi vorrà rispondere con la sentenza di condanna. Dal momento, poi, che il mio rifiuto nasce sia come atto di legittima reazione nei confronti di atti di discriminazione religiosa da parte dell’Amministrazione statale, sia come rifiuto di identificarmi nell’espletamento delle funzioni giudiziarie in nome del dio dei cattolici, anche qui sono curioso di leggere le motivazioni del dott. Tatozzi. Io ho giurato fedeltà alla Costituzione repubblicana e la Costituzione repubblicana mi impone di essere neutrale ed imparziale: il Ministro di Giustizia, paradossalmente mi ha imposto e mi impone di giudicare in nome del dio dei cattolici, violando pertanto la Costituzione. Chissà che cosa scriverà il dr. Tatozzi su questo punto. Estremamente significativa della “granitica coerenza” dello Stato e dei giudici aquilani è la circostanza che il mio processo sia stato celebrato, onde tentare di evitare in modo ridicolo le problematiche da me sollevate, in un’aula-ghetto allestita….. senza crocifisso! Io vengo rinviato a giudizio e sottoposto ad ispezioni ministeriali perché mi rifiuto di tenere le udienze a causa dell’imposizione del crocifisso e, poi, i giudici che mi giudicano tolgono tranquillamente e a loro insindacabile piacere il crocifisso. Questo comportamento nel mio vocabilario si chiama “arroganza”, anzi meglio “arroganza del potere”.

Anche qui la motivazione del Tribunale Aquilano è stata particolarmente acuta ed, anzi, profetica: ad avviso dei giudici, infatti, “la circolare del ministro Rocco del 1926 non ha valore normativo, ma si concretizza in un mero precetto di natura organizzativa della P.A., nella fattispecie del Ministero di Giustizia, che non ha alcun valore vincolante“. Ebbene, lo stesso giorno della mia condanna la Corte di Cassazione, rigettando la “legittima suspicione” sollevata da Adel Smith a causa della prensenza del crocifisso nell’aula del tribunale di Verona, ha affermato l’esatto contrario, e cioè che i crocifissi sono obbligatoriamente imposti ai giudici dal Ministro di Giustizia, sicché la loro rimozione non può essere disposta dai giudici -ai quali è inibita la disapplicazione dell’ordinanza, che ha carattere generale- ma solo dal Ministro. Stupenda, infine, è la motivazione con la quale il tribunale non ha accolto la mia richiesta di esporre nell’aula i simboli dell’Uaar e della menorà per par condicio col crocifisso. Qui i giudici hanno stabilito che questa mia richiesta poteva trovare pratica attuazione solo nella mia sfera personale (in pratica: esponendoli come si espone un crofisso al collo o in un braccialetto) “ma pur sempre nel rispetto delle normi vigenti, anche in materia di sicurezza, igiene etc. e che non valgano ad interferire sulla serena ed ordinata delebrazione del dibattimento“. Questa motivazione mi sembra perfetta in linea col razzismo da me denunciato: solo il crocifisso è un simbolo superiore che può essere liberamente esposto, anche perché testato dalle sue nobili origini; per i simboli degli “sporchi” atei e degli “sporchi” ebrei vi sono invece, giustamente, riserve di carattere “igienico” e di ordine pubblico, trattandosi di simboli che “turbano la serenità” della superiore razza dei cattolici.

Come è nata la sua azione di protesta? Quale ne è stata la causa scatenante, quando è stata, e quale la prima azione concreta? Ci racconti la genesi della sua protesta.

Non credo che abbia alcuna importanza – se non a livello di curiosità – le circostanze di fatto che mi hanno indotto ad iniziare quella che ritengo una “battaglia di civiltà” e non una “protesta”. Tutto è nato allorché, all’indomani dell’ordinanza del giudice dell’Aquila dott. Mario Montanaro, che aveva ordinato la rimozione in via di urgenza dei crocifissi dalle aule scolastiche, un paio di avvocati mi hanno fatto notare la presenza di un vistoso crocifisso nell’aula delle udienze civili, mai notato in precedenza. I legali si sono lamentati di quella che appariva, a prima vista, una provocazione ed io, che mi trovavo a dirigere quell’udienza, ho condiviso appieno quelle lamentele e, pertanto, ho staccato quel crocifisso, riponendolo sul carrello dei faldoni delle cause civili. A distanza di circa mezz’ora sono ritornato nell’aula delle udienze e gli stessi avvocati mi hanno fatto notare, timorosi, che il crocifisso era stato riapposto sulla parete dal cancelliere. Chiesti chiarimenti, il cancelliere mi rispondeva dicendo, seccato, che c’era una legge che imponeva la presenza dei crocifissi. Mi sono successivamente documentato ed ho constato che non vi era nessuna legge che imponesse la presenza dei crocifissi, bensì una circolare del 1926 del Ministro Rocco che la Corte di Cassazione aveva ritenuto abrogata, ex art. 15 disp. prel. al cod. civ., per incompatiblità col principio della laicità dello Stato introdotto dalla Carta Costituzionale repubblicana. Di qui la mia richiesta, indirizzata al Ministro di Giustizia, di rimuovere tutti i simboli religiosi dalle aule. Ci tengo a sottolineare -per l’ennesima volta- che la circostanza che i crocifissi siano stati “tollerati” per circa mezzo secolo negli uffici pubblici, pur dovendo esserne rimossi, non è un “valido” argomento per sostenere che la mia azione o l’azione di altri soggetti sia “ingiustificata”: si tratta di un’obiezione pretestuosa che testimonia della pochezza delle argomentazioni di chi vuole sostenere la legittimità della presenza dei crocifissi. Evidenzio, altresì, che il distacco del crocifisso, da me peraltro operato nella qualifica di preposto alla direzione dell’udienza, ha suscitato un’assurda quanto intimidatoria apertura di un’ispezione ministeriale per verificare se sussistevano gli estremi per l’apertura di procedimenti disciplinari e di trasferimento per incompatibilità ambientale a mio carico: non credo, pertanto, che siffatti arroganti comportamenti meritino di essere gratificati dalla desistenza dalle azioni legali volte a far accertare l’illegittimità dell’ostensione dei crocifissi.

Ha trovato appoggio e solidarietà in qualche collega magistrato? Quali sono state le reazioni all’interno del tribunale di Camerino?

Torno a ripetere che io rappresento, nelle mie battaglie legali, solo me stesso, e non la categoria dei “magistrati”. La mia, peraltro, è una battaglia che ho iniziato come “dipendente” della Pubblica Amministrazione e che, quindi, avrei promosso anche se fossi stato cancelliere o avessi ricoperto altro ruolo: ho poi proseguito la battaglia in qualità di “cittadino utente” dei servizi pubblici, sicché non mi interessa conoscere l opinioni dei colleghi magistrati. Ho cercato, all’inizio, di coinvolgere la categoria perché la questione riguarda tutti: non ho però ricevuto risposta alcuna.

Fin dove è deciso a spingersi in questa battaglia di principio?

Prima ancora di questa sentenza, il Consiglio giudiziario della Corte di Appello di Ancona ed il Presidente di detta Corte hanno fatto apprezzamenti negativi sul mio operato, esprimendo anche “pareri” negativi: ho ribattuto facendo presente, tra l’altro, che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo – molto poco conosciuta e molto poco applicata dai giudici italiani e dal Csm – garantisce il diritto di libertà di opinione religiosa. Può star sicuro che darò battaglia in tutte le sedi, ivi inclusa la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Perché questa decisione di rinunciare allo stipendio? È un modo di radicalizzare lo scontro dovuto all’inerzia delle autorità di fronte al caso da lei sollevato?

La decisione di rinunciare agli stipendi è il modo migliore per mettere in risalto l’assoluta incoerenza del Governo italiano e gli atti di discriminazione religiosa che esso ha posto in essere ai miei danni. Io sono stato infatti a tal punto “magnanimo” nei confronti della P.A. da manifestare il pieno consenso a tenere le udienze in presenza del simbolo dei cattolici purché, però, venisse autorizzato ad esporre i miei simboli. Dal momento che l’autorizzazione non è mi è stata data – cioè si è impedito ai miei simboli di entrare nelle aule pubbliche, diritto che viene invece accordato ai cattolici – ho rifiutato di tenere le udienze: a questo punto la P.A. doveva essere coerente con sé stessa, e cioè doveva rimuovermi dalla magistratura, dal momento che mi rifiutavo di lavorare. La circostanza che la P.A. abbia omesso ed omette di prendere questo provvedimento radicale la dice lunga sulla malafede di chi vuole a tutti i costi sostenere che solo il crocifisso dei cattolici meriti di far mostra di sé negli uffici pubblici. Restituire gli stipendi è uno schiaffo morale agli ammnistratori pubblici italiani, che sperperano il danaro pubblico per sostenere cause “sballate” per omaggiare il Vaticano e la Chiesa cattolica.

Cosa pensa il Csm della sua situazione?

Questo lo chieda al Csm: io ho avuto modo di informarlo, ma non ho ricevuto mezza sillaba di risposta, così come non ho ricevuto mezza sillaba di risposta dal Ministro di Giustizia.

L’attuale ministro della Giustizia appartiene ad una forza politica da sempre schierata in modo netto sul fronte della “difesa” della cristianità dalle “invasioni islamiche”. La sua protesta, da laico, nei confronti del ministro, si inserisce in un quadro politico di scontro diretto in cui le parti in causa – una parte della destra xeonofoba e il complesso ed enorme fenomeno dell’immigrazione da paesi islamici – lasciano ben poco spazio alle “ragioni dei laici”. Pensiamo al caso di Adel Smith, o alla polemica sul velo, oppure alla legge francese: qual è il ruolo del laico in questo quadro?

Non credo che vi siano, in Italia, politici disposti a chiedere la rimozione dei crocifissi o a fare altre battaglie per l’affermazione di principi di laicità che vanno contro gli interessi del Vaticano e della Chiesa: a parte i radicali, tutti gli altri mantengono il rigoroso silenzio stampa che è sotto gli occhi di tutti. E questo perché il loro unico timore è quello di “perdere i voti” dell’elettorato cattolico. In Italia sono fioriti gli “atei devoti” e le miracolose “conversioni” di comunisti, cioè di quelli che il Vaticano e la Chiesa cattolica scomunicavano e bollavano pubblicamente come “apostati” per il solo fatto di professare una particolare opinione politica. Francamente sono nauseato da quello che vedo: vi sono politici, che ricoprono alte cariche istituzionali dello Stato, che si permettono di istigare all’odio e al razzismo religioso contro gli “islamici” e che pretendono di affermare la “legittimità” dell’ostensione del “crocifisso” quale “baluardo” contro i “meticci” invasori che rischiano di “cannibalizzare” la “nostra” (????) “cultura” (????).

In Transilvania si utilizzano le tracce di aglio per allontanare i vampiri: il Italia le alte cariche istituzionali dello Stato “laico” (????) utilizzano i crocifissi sia per “marcare” i luoghi pubblici, sia per allontanare gli “islamici”.

Ha riscontrato interesse da parte del mondo politico, dell’opinione pubblica, della stampa e della società in generale nei confronti del suo caso?

In Italia – e non lo dico io, ma è sotto gli occhi di tutti – esiste un’informazione di regime che, come tutte le informazioni di regime, travisa accuratamente le notizie, per gettare discredito sugli avversari, ed occulta le verità scomode, affinché l’opinione pubblica non le conosca e non le elabori col proprio cervello: è quindi evidente che il dott. Vespa, il dott. Fede e il dott. Ferrara si guarderanno bene di menzionare certe notizie e provocare dibattiti: d’altra parte non sono lo “sporco” musulmano Adel Smith, da spacciare ai cittadini italiani come uno “straniero” che vuole “cannibalizzare” la “cultura” della religone cattolica (vorrei peraltro che qualcuno spiegasse pubblicamente, una buona volta, quali siano i grandiosi pilastri di questa cultura, nella quale “tutti noi” dovremmo identificarci).