Gli scenari della pay tv dopo il mezzo flop di FiorelloFrancesco Lener
No, per ora i conti non tornano. Nonostante il tenace rifiuto di considerare i dati Auditel come cartina di tornasole per il successo delle proprie trasmissioni e a dispetto delle dichiarazioni soddisfatte dell’Ad Tom Mockridge, l’incursione di Sky Italia nel mondo del varietà, dell’intrattenimento da palcoscenico televisivo, delle risate e dei balletti nazionalpopolari non ha sortito i risultati sperati. La nascita di un canale di taglio generalista come Sky Uno, bagnata dal debutto dello spettacolo di Fiorello, costosa new entry della piattaforma di Rupert Murdoch, spenti i riflettori dei primi giorni non ha trovato grande interesse tra i quasi cinque milioni di abbonati. Colpa, probabilmente, di un errore di calcolo e di un azzardo che magari sarà ricompensato a lungo termine, e non certo dello stesso Fiorello o della intramontabile Cuccarini, che il loro sporco lavoro lo sanno anche fare. No: se in vent’anni di vita la pay tv italiana ha individuato dei contenuti “premium”, cioè ad atti a una piattaforma a pagamento, e ne ha scartati altri, un motivo c’è. La pay da sempre basa le sue fortune essenzialmente su sport e cinema, con l’apporto più recente delle serie americane di qualità targate Fox. I varietà classici, ma anche i reality show, rimangono territorio della tv generalista perché indissolubilmente legati alla risposta massiccia di un pubblico numeroso e trasversale: senza il cicaleccio da bar sulle misure della maggiorata del Grande Fratello, senza la grancassa popolare sui tormentoni di Striscia la Notizia o di Quelli che il calcio, senza le discussioni fuori delle scuole sulle performance dei ragazzi di Amici o sull’avvenenza del tronista di turno, nessuna di queste trasmissioni, per quanto confezionata al meglio, avrebbe chance di uscire dall’anonimato, perdendo senso immediatamente. E così a chi ride di gusto davanti allo show di Fiorello resta la sensazione di avere assistito a uno spettacolo teatrale da commentare al massimo con i vicini di poltrona e chi ammira gli sforzi di Lorella Cuccarini si sente l’ultimo dei moicani quando il giorno dopo, in ufficio, non trova sponde per dire la sua sul look della (ex) “più amata dagli italiani”.
Sky rappresenta e verosimilmente rappresenterà anche in futuro una nicchia, un’ampia nicchia, di pubblico, a sua volta sparpagliato in una miriade di canali, tra i quali i sei-sette tradizionali. L’impressione adesso è che Murdoch tutti i suoi assi li abbia già calati, sfornando un’informazione moderna e dinamica, offrendo tutto il calcio possibile immaginabile, mondiali compresi, e puntando anche a produzioni di fiction di qualità, come Romanzo Criminale. Il tutto, in un contesto privilegiato, e cioè in un regime di assoluto monopolio satellitare, con un decoder e un sistema di codifica proprietari e con una concorrenza digitale terrestre che solo da poco ha timidamente cominciato a farsi sentire. Ma la timidezza svanirà molto presto. Nel giro di un semestre in città come Roma e Napoli verrà definitivamente spento il segnale analogico, lasciando ai telespettatori un’alternativa secca: o digitale terrestre (ormai incorporato in tutti i nuovi televisori) o parabola satellitare. Va da sé che, per semplicità e per continuità di abitudini, gran parte del pubblico che ancora oggi conosce solo la tv tradizionale transiterà sul digitale terrestre, sdoganandolo definitivamente. Ma non è tutto, perché l’attacco più pesante a Sky lo sta sferrando Tivù Sat, il progetto di televisione satellitare che Rai, Mediaset e Telecom Italia sono state inizialmente “costrette” a mettere in piedi per raggiungere anche le zone montane che non saranno mai coperte dal segnale digitale terrestre e che rappresenta adesso un vero spauracchio per Murdoch. Tivù Sat, infatti, utilizza un sistema di codifica non compatibile con quello della pay tv attuale e minaccia seriamente di fare sparire dal bouquet di Sky il segnale delle tre reti Rai, delle tre reti Mediaset e di La7. Non solo: in un futuro non lontanissimo potrebbe anche contendere a Sky i diritti televisivi del calcio e quelli di alcune major cinematografiche, magari utilizzando ancora la fortunata formula del “paghi solo quello che vedi” con smart card a scalare o con miniabbonamenti ben più abbordabili di quello di Sky. Murdoch, per ora, ha risposto al fuoco realizzando Sky Uno, destinata probabilmente a occupare il canale 101 sul telecomando al posto dell’ammiraglia Rai, e mostrando interesse per un possibile futuro ingresso anche nel mercato della tv digitale terrestre: segno che tutti gli equilibri stanno per cambiare.